Pochi prodotti sono così radicalmente associati ad un marchio come il Philadelphia, ideato da Kraft foods oltre un secolo fa, e arrivato nel nostro paese negli anni 70 del secolo scorso. In breve tempo questa forma di formaggio spalmabile, decisamente lontano dalla tradizione dei formaggi stagionali italiana, ha riscosso un grande successo anche in virtù di un’intensa campagna pubblicitaria, andata in onda tra gli anni 80 e 90.
Composizione
La particolarità del Phidadelphia è da ricercarsi proprio nella preparazione, che viene effettuata in modo totalmente meccanizzato, sia per ridurre i costi, ma anche per preservare quanto più possibile l’integrità del prodotto durante la produzione.
Come ogni forma di formaggio quark, attraverso una coagulazione tra latte e caglio ma con l’acidificazione dei fermenti, in primis mixando latte e panna, per poi essere sottoposto a pastorizzazione, lasciato raffreddare e subire l’aggiunta dei fermenti lattici per l’acidificazione causando la coagulazione proteica. La composizione non è troppo diversa da un qualsiasi tipo di formaggio leggero sul generis (Latte pastorizzato, crema di latte, sale, addensanti (indispensabili per migliorare la spalmabilità e fermenti lattici).
Uno studio ha dimostrato che la Philadelphia non può essere mangiata da questa categoria di persone
Solitamente viene consumato con il pane ma anche come contorno vero e proprio. Essendo un prodotto più che discretamente calorico (supera le 300 calorie per 100 grammi di prodotto) non è sicuramente adatto ad essere consumato con costanza.
Essendo costituito in larga parte da latte, risulta incompatibile con le diete senza lattosio ma anche per le donne in gravidanza, seppur non totalmente: l’importante è non esagerare con la quantità, limitandosi a consumarlo 2 o 3 volte a settimana, e non più di 50-60 grammi alla volta. Il contenuto di addensanti ed additivi può effettivamente essere non particolarmente positivo durante la gravidanza, anche se essendo pastorizzato il rischio di contaminazione batterica è ridotto al minimo. Quindi “non fa troppo male” in senso assoluto ma sopratutto durante la gravidanza è meglio limitare il più possibile il suo consumo.